LIBRI | Camminare la terra dei formaggi di Alberto Marcomini




Alberto Marcomini | introduzione

Il lunedì per me è sempre stato un giorno importante. Era il giorno che potevo parlare ai miei formaggi. Arrivavo nelle cantine di affinamento prima dei miei collaboratori, di buon'ora. Scendevo le scale senza far rumore. Al fondo dei gradini accendevo le fioche luci, perché i formaggi non amano la luce intensa. E qui, in un silenzio quasi religioso, cominciavo a salutarli, chiedendo loro come avessero passato il fine settimana. Li accarezzavo, a uno a uno, con la dovuta attenzione. Se qualcuno mi avesse visto mi avrebbe preso per matto, senza ombra di dubbio.
Ma erano i "miei" formaggi, che sceglievo accuratamente, andando a prenderli dagli artigiani del latte. Volevo sapere tutto sulla loro arte. M'immergevo nella vita del casaro, nelle tradizioni del posto. M'informavo di come venissero trattati gli animali, cosa mangiassero. Ma, soprattutto, cominciavo a curiosare sulla famiglia del casaro. M'interessava la loro genealogia. Da dove fosse nata la passione per questo nobile mestiere e da quante generazioni la si tramandasse di padre in figlio.
Ho girato l'Italia in cerca delle famiglie del formaggio. Dire Asiago DOP di montagna, per me, significa ricordarmi dei Rodeghiero o dei Nicolin o dei Rela o dei Pennar. Famiglie di cui ho conosciuto – per quanto mi hanno svelato, qualcosa certamente si sono tenuti per loro – tutti i segreti di produzione: il caglio usato, il pascolo perfetto, i luoghi dove le forme appena nate sono messe a sgocciolare dal loro siero, tutti quei rituali che rendono il formaggio un'opera unica, frutto dell'ingegno e dell'amore. Se mi bendavo gli occhi sapevo riconoscere, assaggiando un piccolo pezzo di formaggio, a quale famiglia appartenesse. Continuavo a camminare tra le assi di abete rosso, annusavo, palpavo, sorridevo, ed ecco il Castelmagno d'alpeggio degli Amedeo; i caciocavalli di Agnone dei Di Nucci; le delicate robiole di Roccaverano dei Rossello (Enrico è un vero fenomeno); le tome valdostane dei Panizzi; i parmigiani dei Gennari di Collecchio, dei Bertinelli o dei Bonati; il pugliese Don Carlo dei Cassese; il Fiore Sardo dei Bussu; il Conciato Romano dei Lombardi; le mozzarelle di bufala dei La Vecchia; il taleggio al cucchiaio degli Invernizzi di Pontirolo; il Monte Veronese dei Roncolato; le stupende gorgonzole dei Guffanti, i latticini dei Madaio di Eboli e gli straordinari pecorini maremmani dei Fiorini.
Percorrendo la Francia in lungo e in largo, imparai ad amare i formaggi a tripla panna dei Rouzaire nella regione Senna-Marna (incredibili i loro Brie de Meaux e de Melun), e che dire degli Epoisses dei Gaugry o dei caprini di Luis Marie Barrault. Se c'è un formaggio che più mi ha intriga- to è il Brin d'Amour della Corsica della famiglia Ottavi o dei Filetta: una vera grande opera della natura.
E lo Stilton? Il numero uno lo fa la famiglia Colston Bassett nel Somerset, a nord di Londra, mentre bisogna andare a sud di Lisbona per assaggiare l'Azeitao dei Carbavallo, un piccolo formaggio di capra che durante l'affinamento viene avvolto da una candida garza bianca e ricorda nella forma gli straordinari Pelardon delle Cevenne dei Larguier o dei Chapon. Queste e tante altre famiglie di formaggiai mi hanno accompagnato per tutti questi anni arricchendo il mio bagaglio umano e professionale.
Ho iniziato questo libro quando ho preso a muovere i primi passi nel mondo del formaggio, a fare i primi viaggi tra i pascoli e le malghe, incontrando coloro che custodiscono i tesori e le tradizioni del nostro Paese. Un libro che non terminavo mai perché ogni viaggio portava a nuove scoperte, che volevo condividere con tutti, e l'indomani mi aspettava sempre un nuovo viaggio. E così continuavo a prendere appunti nel mio taccuino, e di taccuini ne ho riempiti molti in questo lungo tempo. Finalmente è giunto il momento di unire tutto in un vero libro che ho scandito fra racconti, episodi e storie di viaggio fra le regioni del nostro Paese.
E l'ho fatto descrivendo il territorio, la natura, gli animali e raccontando il lavoro di uomini e donne, che ogni giorno devono affrontare mille problemi con passione e fatica ma i risultati del loro impegno e sacrificio, la loro arte, è il patrimonio di una civiltà preziosissima che non si estinguerà mai. Ho incontrato persone meravigliose, indimenticabili, che hanno saputo darmi molto. Da loro ho imparato tutto e ho voluto far conoscere i segreti, gli antichi saperi e le innovazioni che generosamente mi sono stati svelati. Qualcuno è passato a miglior vita, altri hanno consegnato il testimone alle nuove generazioni, altri ancora hanno cambiato attività, ma ho voluto comunque citarli perché tutti hanno fatto parte della mia vita.
Ma il mio viaggio non finirà con questo libro, visto che di strada ne dovrò fare ancora molta, camminando sempre la terra dei formaggi.

Davide Rampello | testimonianza

Non sono molti anni che Alberto ed io ci conosciamo, ma è da tempo che vive la nostra amicizia; abitiamo ambedue paesaggi della memoria simili. Comprendo, perciò, la sua inquieta voglia di avventura, di desideri, curioso di tutto, che trovano un momentaneo confidente e materno appagamento nel Formaggio.
Il Formaggio, il latte, che si fa Forma.
Alberto, come pochi, sa celebrare, esaltare questo prodigio.
Lo guidano i ricordi vissuti con il padre, quei profumi intesi, consolanti e protettivi diverranno il metro e il paragone delle successive esperienze. Ma le sue sensibilità lo portano oltre, riverberano in lui echi ancestrali e primordiali che si rivelano nell'emozione, quasi infantile, quando viene sedotto da una particolare "forma".
Alberto diviene l'uomo migrante che con mandrie, passa di territorio in territorio, non ancora corrotto dalle lusinghe della stanzialità.
Bacche, pesci, carni, formaggi…
Il suo richiamo migratorio è costante nel libro, la condivisione nelle soste, delle vivande, dei vini è ricerca di sentimenti confortanti, che diventano ricordi balsamici quando la notte con il suo scooter viaggia, accompagnato dalla sua malinconica solitudine.
Ma, come tutti i migranti, sente la nostalgia di una terra materna: l'Altopiano.
È a Lui che Alberto rivela e dona il sentimento più dolce: la sua diffidente inquietudine diviene confidente abbandono.
Gioacchino Bonsignore | testimonianza

Un reporter del gusto.
Se c'è una definizione che ben si addice ad Alberto Marcomini è questa. Già, perché Alberto da oltre venti anni ci racconta lo straordinario patrimonio enogastronomico del nostro paese, da Aosta a Trapani. Infaticabile viaggiatore, cerca senza sosta la qualità assoluta per proporla all'attenzione del pubblico. Io stesso ho avuto la fortuna di accompagnarlo in alcuni dei suoi pellegrinaggi e così ho scoperto dei veri e propri santuari del gusto, piccole e sconosciute cattedrali gourmet dove si mescolano saperi e sapori, dove magicamente si assemblano le antiche conoscenze con le più moderne tecnologie.
Come il pifferaio di Hamelin, Alberto Marcomini mi ha condotto all'interno di una montagna in Val d'Aosta dove, in cunicoli tortuosi e infiniti, vengono stagionate le più preziose forme di fontina del mondo. Come un burbero nocchiero mi ha fatto attraversare il Lago di Pergusa, dove si consumò il ratto di Proserpina, per scoprire il misterioso lavoro dei maghi casari del piacentino ennese, straordinario formaggio allo zafferano, la cui segreta ricetta si perde nella notte dei tempi.
Io credo che tutti noi dovremmo ringraziare l'instancabile Alberto per avere portato alla luce centinaia di tesori nascosti che, senza la sua inesauribile curiosità, si sarebbero persi per sempre. Finalmente adesso è arrivato il "diario di bordo". Con esso le mappe che condurranno, per chi sa farsi guidare, alla scoperta di queste meraviglie. Sfogliando queste pagine ciascuno potrà costruire il proprio personale itinerario. Per chi vorrà, sarà soltanto un percorso della mente. Ma per i più coraggiosi diverrà una vera caccia al tesoro, che sarà premiata con emozioni uniche.
Grazie Alberto.

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