Eurhop! Roma Beer Festival 2017

Eurhop! Roma Beer Festival 2017
a cura di Stefano Coccia
 
Tornare all’Eurhop! Roma Beer Festival - Il Salone Internazionale della Birra Artigianale per la sua quinta edizione ha rappresentato per il sottoscritto una soddisfazione doppia: dopo due edizioni vissute stando semplicemente dalla parte del pubblico, l’appuntamento dell’ottobre 2017 hai coinciso col primo da giornalista accreditato. 
Il compito, se di compito si può parlare, era quindi leggermente diverso: vedere, assaggiare, ascoltare qualche esperto lì convenuto e soprattutto riferire. 
Con le ormai consuete tre giornate a disposizione (6-7-8 ottobre) per effettuare l’attesissima incursione all’Eur, si è optato per il tardo pomeriggio del sette; e la prima delle cose da riferire, all’arrivo nella splendida cornice del Salone delle Fontane, è una semplice conferma di quanto già affermatosi nelle precedenti occasioni: il pubblico in media molto giovane dell’Eurhop! va consolidandosi ogni anno di più, la sala in certi orari è gremita all’inverosimile, una travolgente allegria sembra poi trasmettersi come corrente elettrica dagli avventori a chi lavora presso la fitta rete di stand, e viceversa. 
La prima immagine davvero pittoresca cui ho personalmente assistito è quella di uno dei mastri birrai che osservo, da lontano, issarsi su un bancone, visibilmente allegrotto, per poi spargere tra la folla ingredienti della birra prelevati da un sacco, ad ampie manate. Una specie di rito dionisiaco, quasi propiziatorio, questo, che i frequentatori del festival hanno dimostrato di apprezzare parecchio, accogliendolo subito con applausi e risate.
Prima di tuffarmi nella degustazione di svariate birrette, ho pensato però di concedermi un breve momento teorico, sostando qualche minuto al “corner” riservato agli incontri, per la chiusura di un intervento che appariva particolarmente degno di nota. Focus sui piccoli birrifici polacchi. Rappresentano una realtà in forte crescita e difatti ne sono stati selezionati un paio per questa edizione, Pracownia Piwa (direttamente da Cracovia) e Browar Artezan
Vedo che proprio a uno che rappresenta Artezan l’intervistatore continua a porre in quel frangente numerose domande, così da investigare sulla produzione loro e su quella di altri microbirrifici in Polonia. L’intervistato è per la verità un tipo ilare e sornione, non sempre dà piena soddisfazione all’interlocutore, anzi, talvolta lo contraddice apertamente. 
Per esempio quando il padrone di casa gli chiede conferma della riscoperta bontà di alcuni luppoli polacchi, il tizio di Artezan chiarisce subito che loro utilizzano prevalentemente luppoli americani escludendo a priori quelli nazionali, poiché sarebbero di qualità particolarmente bassa, buoni solo per la produzione industriale. D’accordo è invece l’ospite quando gli si fa notare come stia diversificandosi sempre di più, a forza di sperimentare e di mettere in gioco una certa creatività, il loro repertorio: birre acide ed altre simili, rese assai strutturate e inebrianti dalla fermentazione in botti di alcolici più o meno robusti (come la Chateau [2017] fatta invecchiare per ben 2 anni nelle botti di Cabernet Sauvignon), stanno ampliando ulteriormente un menu che, già nelle IPA e nelle American Pale Ale, offriva comunque una notevole varietà. Non a caso, visto che i birrifici ospiti al Salone delle Fontane attivano un numero limitato di spine e devono quindi procedere a rotazione, il nostro amico polacco si congeda dal pubblico invitandolo al proprio stand, dove erano state da poco montate una interessante Imperial Milk Stout con l’aggiunta di lamponi e altre essenze, più la loro ormai leggendaria Tropical IPA.
Il passo dalla teoria alla pratica è decisamente breve all’Eurhop!: in questo caso appena pochi metri. 
Ma a quel punto opto per una scelta diversa. Artezan è una realtà che conosco già abbastanza bene, visto che ci sono locali nella capitale, come il giovane ma già lanciatissimo pub Il Ponticello in zona San Paolo, che da qualche tempo mettono in selezione alcune delle loro birre migliori. 
E allora decido di dare credito ai “vicini di casa”. Sul proseguimento dello stesso bancone vi è infatti l’altro birrificio polacco poc’anzi menzionato, Pracownia Piwa, per cui si decide sul momento di testare la loro rinomata Lab 5. Ed è già una bevuta di gran classe. 
Sì, perché trattasi di una Coffe Imperial Stout densissima e forte di diversi aromi, la cui maturazione è avvenuta in barili di rovere precedentemente adibiti al Bourbon.
Uno dei temi più forti di questi ultimi anni è del resto il particolare intreccio che, specie per le birre ad alta gradazione (ma non solo, come vedremo), porta a caratterizzarne il gusto attraverso proficui cortocircuiti col mondo dei vini e dei superalcolici. Francesi e soprattutto belgi hanno ovviamente da loro una tradizione già consolidata, in tal senso. 
E così si finisce per far tappa virtualmente in Belgio, visto che a fornire il successivo assaggio è la Brasserie Cantillon, celebre produttore di Lambic ovvero della birra a fermentazione spontanea tipica della regione a sud di Bruxelles, connotata da una lunga maturazione in botte e dall’inconfondibile acidità. 
La gradazione qui tende comunque a restare sui 5,0 %. Per un improvviso slancio “patriottico” avrei voluto provare la loro Lambic Sangiovese. Ma non essendo disponibile in quel momento ho ripiegato su una comunque apprezzabilissima Lambic Armagnac, con le botti fornite in questo caso proprio dall’Armagnac che è un'acquavite di vino francese a denominazione di origine controllata, prodotta nella regione storica della Guascogna. Reso omaggio così (seppur indirettamente) ai talvolta spocchiosi cugini d’Oltralpe, sono tornato di slancio ad esplorare le frontiere dell’Europa Orientale, incuriosito dal fatto che quest’anno fosse rappresentata anche l’Estonia. 
E devo dire che la Imperial Gose presentata da Põhjala Brewery, forte peraltro dei suoi 10.8 %, non ha affatto deluso le aspettative. Lode quindi agli smaliziati ragazzi di Tallinn.
Vista l’occasione di confrontarsi con parecchi birrifici esteri da ricollegare magari a qualche paese considerato “emergente”, nel sempre più variegato panorama delle birre artigianali europee e non, ho finito per citare soprattutto quelli, ma tante e di tante regioni diverse sono le eccellenze italiane cui si è potuti far visita, lungo la via. 
Del resto occorre ricordare, ‘en passant’, che al festival la selezione è stata curata ancora una volta dal celebre pub trasteverino Ma Che Siete Venuti a Fà, attivo dal 2001 nella promozione e divulgazione del settore, con riconoscimenti fioccati a livello internazionale. 
Per inciso tra una bevuta e l’altra si è fatta viva un’amica, Marina, che proprio quest’anno compiva il suo debutto all’Eurhop! e che ho voluto pertanto trascinare da uno stand all’altro, cogliendo innanzitutto la sua eccitazione non soltanto per la qualità delle degustazioni, ma anche per la chiassosa e a tratti ludica atmosfera conviviale che caratterizza l’evento. 
Nel corso di tali peregrinazioni ci ho tenuto che si facesse tappa anche in Sardegna. Ecco, considerando che anche a un livello decisamente più “mainstream” c’è l’Ichnusa tra le birre che si stanno facendo più amare dagli italiani, non sorprenderà che nel campo di quelle artigianali si siano affacciate negli ultimi anni realtà di tutto rispetto con sede nell’isola. Mi spiace per esempio che non ci sa stato il tempo di far visita a P3 Brewing, microbirrificio di Sassari con un’offerta sulla carta assai stimolante. Ci sarà tempo in futuro. 
La nostra attenzione è stata catturata invece da quello che considero già da qualche tempo uno dei più sorprendenti e ammirevoli produttori italiani, Il Birrificio di Cagliari, anche perché ci tenevo a far assaggiare a Marina la loro pregevolissima Figu Morisca. Marina è tra le tante ragazze che conosco, cui non dispiace certo, eufemisticamente parlando, la morbida delicatezza di una Blanche. Ma quella dei sardi è una Blanche ancora più particolare, dall’accentuata e piacevole rotondità in bocca, il cui aroma fruttato deriva addirittura dal fico d’india. 
Non ho resistito alla tentazione di rubargliene un sorso. 
Contraccambiando ovviamente con l’assaggio di un’altra deliziosa scoperta dovuta sempre ai cagliaritani, cui affiderei anche la chiusura del nostro conciso diario di viaggio: la Mutta affumiada, un piccolo gioiello nell’ambito delle birre affumicate, per via di quel sentore di mirto che ne vivacizza con stile il sapore.

2 commenti

Ti è piaciuto il nostro pranzo?